Quando ti dicono “non posso”
Vi sarà sicuramente capitato, interfacciandovi con qualche ufficio, sentirvi dire da chi vi avrebbe dovuto erogare un servizio la frase “non posso”. Se vi è capitato mentre stavate provando a fargli accettare una mazzetta, solo stima. Mi riferisco ad altro. Quando qualcuno si trincera, con soddisfazione, dietro al fatto che non è autorizzato a fornire una prestazione perché non è nelle sue mansioni, perché non è autorizzato, perché non tocca a lui. Quando vi rispondono come quando a scuola il professore sbagliando vi interrogava su un argomento che non era incluso nella pagine da studiare. Soddisfazioni temporanee. Essere felici di non saper fare una cosa.
A voi è capitato di rispondere quel “non posso”? Un “non posso” che vi toglie dall’impiccio, che vi solleva dalle responsabilità, un “non posso” che probabilmente vi evita un lavoro da fare, ma che per tutti gli altri rappresenta un muro, un problema, una perdita di tempo?
“Sì ma se non posso, non posso, non sono autorizzato, non lo so fare, cosa posso farci?”. Sì certo, ammiro il rispetto delle regole, se non si può non si può. Però chi è alla ricerca di una risposta non è interessato a conoscere cosa si può o non si può fare e l’espressione di liberazione dopo l’evacuazione mattutina di chi ha risposto non l’aiuterà certo, perché chi ha un problema cerca una soluzione, non un altro problema.
“Ma è un problema suo, non mio”. Eh no caro amico che ami dire “non posso”, il problema è tuo. Perché chi ti ha chiesto un aiuto alla soluzione ci arriverà, probabilmente dopo tanti non posso, con un po’ di nervoso che si poteva risparmiare, ma ci arriverà. Tu? Tu resti al palo, soddisfatto e felice nella bambagia della leggerezza di non saper o di non poter fare una cosa, ma sempre lì resti, al prossimo non posso.
No certo, non devi fare ciò per cui non sei autorizzato, ma al posto di “non posso” puoi rispondere “guardi non è una mia competenza, ma ora le spiego a chi lo deve chiedere, come fare e un paio di dritte perché lei arrivi alla sua soluzione”. Un gesto così è più di “posso”, è una crescita personale, creare un’armonia che resta dentro.
Se il “non posso” invece si traduce in “no guarda non ne ho voglia”, beh allora non perdiamo nemmeno tempo. Rivendico serenamente il fancazzismo saltuario, però occhio a quando avrai bisogno tu.
Il non posso come meccanismo di difesa
Se il “non posso” è un meccanismo di difesa, è un “non ce la farò mai”, allora parliamone. Dietro ad un “non posso” c’è un “non posso farcela, non ce la farò mai, mi conosco non è per me”. Tipica risposta di chi teme il giudizio e il confronto. Non è un errore, non è un difetto, è una situazione. Una situazione in cui serve coraggio.
“Non riuscirò mai a fare la Maratona”. Ne è un esempio.
Sarebbe bello poter conoscere gli effetti positivi incredibili che ha raggiungere un traguardo prima di raggiungerlo, per capire che certe cose non puoi fartele mancare. Sarebbe troppo facile e perderebbe un po’ di entusiasmo finale, ma in ogni caso non è così. Chi utilizza il “non posso” per difesa non sbaglia, ma dovrebbe iniziare dai dei piccoli “posso” per buttare giù le sue paure.
Il non posso e le prestazioni sportive (e nella vita)
Il non posso è dietro a tante prestazioni sportive non all’altezza rispetto al potenziale. Non solo in gara serve coraggio, serve anche in allenamento. Il coraggio di far fatica, di metterci in crisi. Allenare “la testa” a superare i propri limiti. Quando iniziamo a dire “non posso” per paura, ma ancor peggio per poco entusiasmo in generale questo poi ritorna tutto indietro. Spesso lodiamo i campioni e spesso i campioni più amati sono “quelli che possono”, che sono disponibili e restano umili, in cui l’umiltà non è pensare poco di se stessi, anzi, ma è parlare poco di se stessi e non dire mai “non posso”, ma “posso e voglio potere sempre di più” L’umiltà di non dare per scontato nulla e di non smettere di far fatica.
La lezione inglese
Dietro ad “Non posso” ci sono tante cose. Gli inglesi per il verbo potere utilizzano due verbi modali diversi “May” e “Can”. Non sono esperto linguista, ma la differenza a grandi linee è tra “May” legato alle regole (ho l’autorizzazione) e Can legato alla capacità (posso, sono capace di). Anche se a volte il “non posso” è entrambe le cose: ” non sono capace, ma non sono nemmeno autorizzato e mi guardo bene dall’imparare a farlo per poi poterlo fare un giorno”. Sarebbe bello avere due verbi come l’inglese, ma basta sapere ascoltare per capire cosa significa quel “non posso”.
Io personalmente sono infastidito quando “non posso” fare una cosa, perché mi piacerebbe saper far tutto, ma questo è probabilmente un altro tipo di problema.
Però mi piacerebbe vedere più gente un po’ meno soddisfatta e un po’ più arrabbiata perchè “non può”, perchè parente del “non posso” c’è spesso anche “non è colpa mia”, “abbiamo sempre fatto così perchè cambiare” ecc… un disastro completo.
Il “non posso” è un macigno da eliminare. Il non posso andrebbe usato come gli antibiotici, solo quando è veramente necessario. Il “non posso” è troppo accettato e questo non aiuta nemmeno chi lo usa per paura.
Non credo che “volere sia potere”, siamo in un mondo reale, ci sono troppe variabili. Ma senza dubbio è “volere è provarci e spesso riuscirci”.
Facciamo un fioretto, diciamo meno “non posso” scegliamo un qualcosa a cui abbiamo detto “non posso” per dire “domani lo faccio”, che sia la maratona o qualsiasi altro nostro limite.
Domani posso
Simone